Corte
Costituzionale, 1/4/2003 n. 104
Sull'illegittimità
costituzionale dell'art. 45, comma 1, del d.l. 26/3/2001 n. 151 (T.U.
delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della
maternità e paternità, a norma dell'art. 15 della l. 8 marzo 2000, n.
53).
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 45, comma 1, del decreto
legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità,
a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in
cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applichino,
anche in caso di adozione e di affidamento, "entro il primo anno di
vita del bambino" anziché "entro il primo anno dall'ingresso
del minore nella famiglia".
REPUBBLICA
ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta
dai signori:
-
Riccardo CHIEPPA Presidente
-
Gustavo ZAGREBELSKY
Giudice
-
Valerio ONIDA
-
Carlo MEZZANOTTE
-
Fernanda CONTRI
-
Guido NEPPI MODONA
-
Piero Alberto CAPOTOSTI
-
Annibale MARINI
-
Franco BILE
-
Giovanni Maria FLICK
-
Francesco AMIRANTE
-
Ugo DE SIERVO
-
Romano VACCARELLA
-
Paolo MADDALENA
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nei
giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 10 della legge 30
dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri) e 6 della legge 9
dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in
materia di lavoro) e dell'art. 45, comma 1, del decreto legislativo 26
marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di tutela della maternità e della paternità, a norma dell'articolo 15
della legge 8 marzo 2000, n. 53), promossi con ordinanze del 9 ottobre
2001 dal Tribunale di Trieste nel procedimento civile vertente tra Rigo
Rossella e la Regione Friuli-Venezia Giulia e del 24 luglio 2001 dal
Tribunale di Ivrea nel procedimento civile vertente fra l'INPS e Bersano
Giovanni ed altra iscritte rispettivamente ai nn. 165 e 294 del registro
ordinanze 2002 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
17 e n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2002.
Visti
gli atti di costituzione di Rigo Rossella, dell'INPS, della Regione
Friuli-Venezia Giulia nonché gli atti di intervento del Presidente del
Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 19 novembre 2002 il Giudice relatore Francesco
Amirante;
uditi
l'avvocato Franco Berti per Rigo Rossella e l'avvocato dello Stato Gaetano
Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto
in fatto
1.—
Nel corso di una controversia di lavoro promossa da Rossella Rigo Vanon
nei confronti della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, sua datrice di
lavoro, il Tribunale di Trieste ha sollevato questione di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione,
dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle
lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro).
Il
giudice a quo specifica che la ricorrente, avendo ottenuto, insieme con il
proprio marito, l'affidamento preadottivo di due bambini nati
rispettivamente nel 1991 e nel 1994, ha chiesto in sede cautelare di poter
essere ammessa a fruire dei periodi di riposo giornaliero di cui all'art.
10 della legge n. 1204 del 1971. Il provvedimento, concesso dal medesimo
giudice remittente in sede cautelare, è stato poi annullato dal Tribunale
a seguito di reclamo.
Instauratosi
il giudizio di merito, il giudice a quo, nel sollevare la presente
questione, ricorda di aver accolto l'istanza cautelare della ricorrente in
base al convincimento per cui il termine annuale previsto dall'impugnato
art. 10 deve decorrere, in caso di affidamento preadottivo, non dalla
nascita, bensì dall'ingresso effettivo del minore in famiglia. A tale
convincimento egli precisa di essere giunto sulla base di una lettura
sistematica delle norme vigenti, compiuta alla luce delle sentenze di
questa Corte n. 1 del 1987, n. 332 del 1988, n. 341 del 1991 e n. 179 del
1993. Le misure di protezione originariamente previste per la sola madre
biologica, infatti, sono state estese, grazie alla legge n. 903 del 1977
ed alle citate sentenze, tanto in favore del padre che dei genitori
adottivi ed affidatari, facendo decorrere i termini di fruibilità per
questi ultimi dal momento dell'effettivo ingresso del minore nella
famiglia.
Nelle
more del giudizio, tuttavia, sono entrati in vigore la legge 8 marzo 2000,
n. 53, ed il testo unico approvato con decreto legislativo 26 marzo 2001,
n. 151; quest'ultimo ha chiarito (art. 45) che le disposizioni relative ai
riposi giornalieri si applicano anche in caso di adozione e di affidamento
«entro il primo anno di vita del bambino». Siffatta disposizione,
unitamente al carattere non innovativo del menzionato testo unico,
desumibile dall'art. 15 della legge n. 53 del 2000 (che contiene la
relativa delega), induce il remittente a ritenere che anche per il passato
i permessi in questione potessero essere goduti dal genitore affidatario
solo entro il primo anno di vita del bambino.
E'
proprio tale limitazione temporale, peraltro, a far sorgere nel remittente
dubbi di legittimità costituzionale delle norme impugnate. Nella quasi
totalità dei casi, infatti, i bambini dati in affidamento preadottivo o
in adozione entrano nella famiglia quando hanno già compiuto il primo
anno di età, sicché i permessi in oggetto finirebbero con l'essere
prerogativa pressoché esclusiva dei genitori biologici, con evidente
violazione del principio di eguaglianza. Oltre a ciò, l'anzidetta
limitazione si pone in contrasto anche con l'art. 37 Cost. perché la
madre adottiva, qualora non possa (per motivi economici) o non voglia
avvalersi della c.d. astensione facoltativa (oggi congedo parentale), si
trova nella sostanziale impossibilità di assistere il minore che le è
stato affidato; sicché non le resta altra soluzione che la permanenza nel
posto di lavoro, con tutti gli effetti negativi che inevitabilmente
derivano a carico del figlio.
Il
Tribunale di Trieste, pertanto, chiede che le norme impugnate vengano
dichiarate costituzionalmente illegittime «nella parte in cui non
prevedono a favore delle madri adottive o affidatarie in preadozione il
diritto di fruire dei periodi di riposo giornaliero entro l'anno
dall'effettivo ingresso del bambino nella famiglia adottiva o affidataria».
2.1
— Si è costituita in giudizio la ricorrente Rossella Rigo Vanon,
chiedendo che la questione venga decisa nel senso indicato dal remittente.
Rileva
la parte privata che, ove venisse accolta l'interpretazione restrittiva
indicata dal Tribunale di Trieste, le norme impugnate non potrebbero
sottrarsi alle indicate censure di illegittimità costituzionale. La
legislazione protettiva della maternità, infatti, non si limita a
prendere in considerazione le esigenze fisiologiche del minore, bensì
tiene presenti anche quelle relazionali ed affettive, tanto che i termini
di ammissione al congedo obbligatorio e facoltativo, sebbene collegati
all'età del minore adottando, decorrono dal momento in cui questi compie
il proprio ingresso nella famiglia. E non si vede per quale motivo analoga
previsione non debba valere anche per i permessi di cui all'art. 10 della
legge n. 1204 del 1971.
2.2
— In prossimità dell'udienza la parte privata Rossella Rigo Vanon ha
presentato un'articolata memoria, insistendo per l'accoglimento delle
rassegnate conclusioni.
Premette
la parte che la vicenda processuale in oggetto si è svolta prima
dell'entrata in vigore del testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001 e
che il diritto dei genitori adottivi di fruire dei permessi giornalieri
deve ritenersi già previsto dall'ordinamento ancor prima dell'entrata in
vigore del testo unico medesimo.
La
Rigo Vanon richiama innanzitutto il dibattito svoltosi in seno alla
giurisprudenza di legittimità relativamente all'estensibilità in favore
dei genitori adottivi ed affidatari delle provvidenze di cui alla legge n.
1204 del 1971 per il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge
n. 903 del 1977 – il cui art. 6 ha espressamente risolto il quesito in
senso favorevole (almeno a partire da quella data) – e ricorda la
sentenza n. 332 del 1988 di questa Corte con la quale sono state
dichiarate costituzionalmente illegittime (quindi, con effetto
retroattivo) una serie di norme della legge n. 1204 del 1971 nella parte
in cui non estendevano le provvidenze ivi previste ai genitori adottivi ed
anche agli affidatari provvisori, fissando in tutti i casi i termini di
fruizione dalla data di effettivo ingresso del minore nella famiglia.
La
parte privata prosegue poi richiamando altre pronunce di questa Corte di
fondamentale importanza nella materia in questione, ossia le sentenze n. 1
del 1987, n. 341 del 1991 e n. 179 del 1993.
Alla
luce della giurisprudenza costituzionale evocata, la parte privata ritiene
che la disciplina di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 debba
applicarsi anche in favore dei genitori adottivi ed affidatari, attraverso
un procedimento interpretativo di carattere «logico-sistematico» che
collega le norme esistenti, così come riviste dalla Corte costituzionale,
con i principi fondamentali dell'ordinamento.
Secondo
la parte privata, del resto, sarebbe molto difficile, sul piano della
legittimità costituzionale, dare una spiegazione accettabile del perché
la fruibilità dei permessi giornalieri debba essere ristretta anche per i
bambini adottivi al solo primo anno di vita, dettando una regola che in
concreto renderebbe l'istituto pressoché inapplicabile e che risulterebbe
incomprensibile da un punto di vista logico, oltre che in contrasto con
l'obiettivo fondamentale di salvaguardare nel modo migliore l'evoluzione
psico-fisica del minore. Siffatta interpretazione restrittiva, d'altra
parte, risulterebbe in evidente contrasto con tutti i parametri
costituzionali invocati dal giudice remittente.
3.—
Si è costituita in giudizio la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia,
parte convenuta nel giudizio a quo, chiedendo che la prospettata questione
venga dichiarata inammissibile o infondata.
L'inammissibilità
deriverebbe dalla completa carenza di motivazione in punto di rilevanza,
poiché il remittente non ha neppure precisato quale sia stata l'effettiva
data di ingresso dei minori nella famiglia della ricorrente.
Nel
merito, la parte osserva che la parificazione tra genitori biologici e
genitori adottivi è stata compiuta dalle leggi vigenti in riferimento al
congedo di maternità ed al congedo parentale (che attualmente indicano
l'astensione obbligatoria e quella facoltativa).
I
riposi giornalieri di cui all'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 hanno,
invece, una finalità ben diversa, che è quella di accudire il neonato
nella fase immediatamente successiva alla nascita; tale necessità di
assistenza diretta si conclude, secondo la valutazione del legislatore,
col compimento del primo anno di vita. Estendere la fruibilità di tali
permessi entro l'anno dall'effettivo ingresso del minore nella famiglia
significa snaturare la portata dell'istituto, compiendo una valutazione
che è di politica legislativa; anche per le madri biologiche, d'altra
parte, i permessi non sono più concedibili una volta trascorso il primo
anno di vita del bambino, restando alle medesime la sola facoltà di
avvalersi del congedo parentale, di modo che nessuna diversità di
trattamento può essere ravvisata nel sistema vigente.
Da
tanto consegue l'infondatezza della questione.
4.—
E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, con atto
difensivo di contenuto identico a quello della Regione autonoma
Friuli-Venezia Giulia.
5.—
Il Tribunale di Ivrea – adìto in sede di reclamo avverso il
provvedimento d'urgenza concesso dal giudice monocratico, ai sensi
dell'art. 700 cod. proc. civ., col quale veniva riconosciuto al
ricorrente, padre adottivo di un minore, il diritto alla fruizione dei
riposi giornalieri entro l'anno dall'ingresso del bambino nella famiglia
– ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 29, 30, 31, 37 e 77 della
Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 45 del
decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della
paternità, a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53).
Osserva
il giudice a quo che l'impugnato provvedimento d'urgenza è stato emesso
in primo grado in base al convincimento per cui i riposi giornalieri
previsti dall'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204, e dall'art.
3, comma 5, della legge n. 53 del 2000, possono essere fruiti dai genitori
adottivi non entro l'anno dalla nascita del minore, bensì entro l'anno
dal momento in cui lo stesso ha fatto il suo effettivo ingresso nella
famiglia. In sede di reclamo, proposto dall'Istituto nazionale della
previdenza sociale, tanto quest'ultimo quanto il datore di lavoro hanno
eccepito l'erroneità del provvedimento favorevole al lavoratore,
sostenendo che il quadro normativo complessivo, da leggersi alla luce del
sopravvenuto art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001, imponeva di limitare la
concessione dei permessi in questione al primo anno di vita del bambino.
Ciò
premesso in punto di fatto, il Tribunale di Ivrea, accogliendo e facendo
propria l'eccezione avanzata in sede di reclamo dal lavoratore (che
insisteva nel contempo per la conferma dell'impugnato provvedimento), ha
ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale del
citato art. 45 «nella parte in cui dispone che le norme in materia di
riposi di cui agli artt. 39, 40, 41 dello stesso decreto si applicano
anche in caso di adozione e di affidamento soltanto entro il primo anno di
vita del bambino» (comma 1).
Nel
motivare sulla non manifesta infondatezza della questione, il Tribunale
remittente ricorda che la normativa sui permessi giornalieri di maternità
trovava in origine il proprio fondamento nell'esigenza dell'allattamento;
tale esigenza, benché non superata, può tuttavia considerarsi non più
esclusiva alla luce sia di quanto sostenuto da questa Corte nella sentenza
n. 179 del 1993 sia del testo dell'art. 6-ter della legge n. 903 del 1977,
introdotto con la menzionata legge n. 53 del 2000. Non si tratta, infatti,
soltanto di permettere alla madre (o al padre) di badare alle fondamentali
esigenze fisiche del bambino, ma anche di curare l'aspetto relazionale del
rapporto genitoriale, favorendo il contatto affettivo fra il genitore ed
il figlio. L'art. 39 del d. lgs. n. 151 del 2001, d'altra parte, sembra
aver recepito tale mutamento di prospettiva, facendo riferimento agli
asili nido piuttosto che alle camere di allattamento.
A
tale evoluzione della tutela della maternità e della paternità si è
affiancata una crescente attenzione del legislatore nei confronti della
famiglia adottiva, tradottasi in una serie di norme che di fatto
equiparano i genitori adottivi a quelli biologici.
Sulla
base di tali premesse, al Tribunale remittente la norma censurata pare in
contrasto con i numerosi parametri costituzionali citati. Innanzitutto con
l'art. 3 Cost., inteso sia come principio di eguaglianza che come
principio di ragionevolezza, perché il legislatore ha fissato un medesimo
termine di fruibilità dei permessi in oggetto mentre è evidente che
l'inserimento del bambino nella famiglia adottiva avviene, a differenza
che per la famiglia biologica, in un momento successivo alla nascita,
sicché la parità di trattamento finisce col tradursi in un evidente
ostacolo alla crescita armoniosa del figlio adottivo, a dispetto di tutte
le indicazioni provenienti proprio dalla giurisprudenza costituzionale; e
ciò è tanto più irrazionale in quanto il legislatore, nel regolare il
congedo per la malattia del figlio, ha dimostrato di tener presente la
diversa situazione dei figli adottivi, consentendo ai genitori di
assentarsi fino al compimento del sesto anno di età da parte del minore.
Altrettanto
evidente appare al Tribunale il contrasto con gli artt. 29, 30 e 31 Cost.,
norme tutte finalizzate alla protezione della famiglia e della filiazione;
l'art. 45 impugnato, infatti, dimostra di trascurare le esigenze di
carattere affettivo e relazionale del figlio che sono senz'altro presenti
anche nel caso della filiazione adottiva, dettando una regola che nella
grande maggioranza dei casi finirà col non poter essere utilizzata,
perché la complessità della procedura di adozione è tale che
l'effettivo ingresso del minore nella famiglia avviene quando il medesimo
ha già compiuto il primo anno di vita. Ragioni del tutto analoghe
inducono a ritenere violato l'art. 37 Cost., perché la norma in oggetto
contrasta con l'obiettivo di protezione della lavoratrice madre (e del
lavoratore padre) alla luce delle sentenze costituzionali n. 179 del 1993
e n. 341 del 1991, le quali hanno chiarito che le esigenze di equilibrata
crescita del minore rendono necessaria la presenza di entrambi i genitori,
con un criterio che vale anche in rapporto all'affidamento ed
all'adozione.
Ultima
censura ravvisata dal remittente è la violazione dell'art. 77 Cost. sotto
il profilo dell'eccesso di delega: in contrasto con i criteri direttivi
fissati dall'art. 15, comma 1, lettera c), della legge n. 53 del 2000 –
secondo cui il legislatore delegato aveva il potere di modificare le norme
esistenti soltanto allo scopo di garantirne la coerenza logica e
sistematica – la norma impugnata pone, infatti, un limite per
l'applicabilità delle disposizioni sui riposi giornalieri nel caso di
adozioni o affidamenti non previsto dalla previgente normativa.
La
questione si palesa rilevante, d'altra parte, perché, stante l'immediata
applicabilità ratione temporis dell'art. 45 del d. lgs. n. 151 del 2001,
in caso di rigetto della proposta questione da parte della Corte, il
Tribunale non potrebbe che accogliere il reclamo, annullando la prima
ordinanza cautelare e negando la sussistenza del diritto del padre
ricorrente a fruire dei periodi di riposo in esame, essendo stati i
medesimi concessi in relazione ad un momento in cui il minore adottato
aveva già compiuto il primo anno di età (mentre non era ancora trascorso
il primo anno dall'ingresso nella famiglia).
6.—
Si è costituito in giudizio l'INPS, chiedendo che la questione venga
dichiarata non fondata.
Osserva
l'ente previdenziale che i riposi giornalieri dei quali si discute sono
stati istituiti con lo scopo primario di consentire l'allattamento del
bambino, ossia per soddisfare un'esigenza di alimentazione e di crescita,
tanto che in passato parecchie aziende avevano creato le apposite camere
di allattamento. Mutato radicalmente l'assetto della società, tali
permessi sono stati concessi anche ai padri lavoratori, sicché alla
funzione originaria dei medesimi se ne sono affiancate altre, le quali
tuttavia non hanno eliminato la ratio fondamentale per cui essi
costituiscono un vero e proprio diritto del lavoratore. Se, d'altronde, la
funzione alimentare non fosse a base dei riposi in questione, non si
capirebbe il motivo per il quale in caso di parto plurimo la legge prevede
il raddoppio della durata degli stessi (art. 41 del d. lgs. n. 151 del
2001).
Alla
luce di siffatta ricostruzione, quindi, appare del tutto ragionevole il
termine annuale, decorrente dal momento della nascita, che il legislatore
ha fissato per la fruibilità di tali permessi; decorso il primo anno di
vita, infatti, si sarà compiuto lo «svezzamento», il che consentirà al
genitore di tornare al normale orario di lavoro salva la possibilità di
godere del congedo parentale.
Del
pari infondati paiono all'INPS i profili di violazione degli artt. 29, 30,
31 e 37 Cost., perché la tutela della maternità e della paternità è
ampiamente assicurata nel nostro ordinamento da altri e ben più
importanti istituti – quali il congedo per maternità, quello parentale
e quello per le malattie del figlio – che testimoniano l'equilibrio
complessivo del sistema vigente e che consentono di restringere l'ambito
temporale dei permessi di allattamento, senza timori di violazione di
alcun parametro costituzionale, nei limiti fissati dalla norma impugnata.
7.—
E' intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione.
La
difesa erariale rileva che l'ordinanza del Tribunale di Ivrea non pare
aver compreso il vero obiettivo che il legislatore si è prefisso di
raggiungere con la norma impugnata. La ratio legis, infatti, non è tanto
quella di fornire un'ulteriore protezione al genitore lavoratore, quanto
piuttosto quella di garantire un'adeguata assistenza al bambino nella
prima e più delicata fase della sua esistenza. A tale scopo la
fruibilità dei permessi è stata estesa anche al padre, indirettamente
dimostrando che la finalità dell'allattamento al seno è solo uno degli
obiettivi, ma non l'unico, che la norma intende perseguire. Tuttavia il
legislatore si è anche preoccupato di contemperare le esigenze di
assistenza del bambino con quelle del lavoro, limitando il godimento dei
permessi giornalieri al primo anno di vita del minore; nessuna disparità
di trattamento è ravvisabile, perciò, tra figli adottivi e figli
cresciuti dai genitori biologici, perché la norma ha ritenuto che le
esigenze primarie di accudimento del neonato cessino al compimento del
primo anno di età. Sindacare la scelta compiuta, estendendo la portata
della norma nel senso auspicato dal remittente, significherebbe entrare in
una sfera riservata alla discrezionalità del legislatore, per di più
creando una fattispecie dagli incerti confini applicativi.
Le
considerazioni svolte dimostrano anche, secondo la difesa erariale,
l'inesistenza della presunta violazione dell'art. 77 Cost. sotto il
profilo dell'eccesso di delega; la norma impugnata, infatti, in
conformità al criterio direttivo di cui all'art. 15, comma 1, lettera c),
della legge n. 53 del 2000, non mira affatto ad introdurre
nell'ordinamento una norma nuova, bensì soltanto ad assicurare la
coerenza logica complessiva del sistema normativo vigente.
Considerato
in diritto
1.—
Il Tribunale di Trieste ed il Tribunale di Ivrea sottopongono all'esame
della Corte due questioni che, quantunque aventi ad oggetto disposizioni
diverse (ratione temporis), sono nella sostanza di identico contenuto.
In
particolare, il Tribunale di Trieste dubita della legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione,
dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle
lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro); il
Tribunale di Ivrea, invece, solleva questione di legittimità
costituzionale dell'art. 45 (comma 1) del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di
tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell'art.
15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), in riferimento agli artt. 3, 29, 30,
31, 37 e 77 della Costituzione.
Fondamento
di entrambe le questioni è il dubbio riguardante la fruizione dei
permessi giornalieri in favore dei genitori adottivi e degli affidatari,
che la legislazione vigente limita al primo anno di vita del bambino,
così come per i figli biologici. Ad avviso dei Tribunali remittenti,
invece, in caso di adozione o di affidamento tali permessi dovrebbero
essere fruibili a partire dalla data di effettivo ingresso del minore
nella famiglia, pur rimanendo fermo l'attuale limite annuale, sussistendo
altrimenti violazione sotto vari profili dei menzionati parametri
costituzionali.
2.—
Le due questioni si differenziano sostanzialmente soltanto da un punto di
vista di cronologia delle norme impugnate, perché le leggi n. 1204 del
1971 e n. 903 del 1977 sono state trasfuse, assieme a molte altre, nel
testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001; il Tribunale di Trieste ha
impugnato le norme previgenti, mentre quello di Ivrea ha impugnato l'art.
45 del testo unico. Le questioni, pertanto, possono essere riunite e
decise con una sola pronuncia.
3.—
La questione proposta del Tribunale di Trieste è inammissibile per un
duplice ordine di ragioni.
Da
un lato, infatti, il giudice a quo non ha descritto in modo adeguato la
fattispecie sottoposta al suo esame; in particolare, ha omesso di indicare
una dato essenziale ai fini della rilevanza, ossia la data di effettivo
ingresso nella famiglia della ricorrente dei due bambini destinatari
dell'affidamento preadottivo; d'altro canto, poi, egli, pur mostrando di
conoscere la legge n. 53 del 2000 ed il d. lgs. n. 151 del 2001, non ha
tuttavia fornito alcuna motivazione sulla ragione che lo ha indotto a
sottoporre all'esame della Corte due norme espressamente abrogate
dall'art. 86 del decreto da ultimo menzionato. In tal modo il giudice
remittente ha dimenticato che, secondo pacifica giurisprudenza di questa
Corte (v. da ultimo l'ordinanza n. 204 del 2002), lo scrutinio di
legittimità costituzionale avente ad oggetto norme abrogate prima della
rimessione della questione è possibile solo a condizione che si dia conto
delle ragioni per le quali tale scrutinio mantiene la sua rilevanza nel
giudizio principale.
Né,
d'altronde, per sopperire alle suddette lacune dell'ordinanza, è
possibile fare ricorso alle allegazioni delle parti.
4.—
La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di
Ivrea va esaminata, logicamente, innanzitutto sotto il profilo preliminare
dell'eccesso di delega; ad avviso del giudice a quo, infatti, poiché il
testo unico di cui al d. lgs. n. 151 del 2001 non avrebbe potuto avere
contenuto innovativo – in forza dei criteri direttivi contenuti
nell'art. 15, comma 1, lettera c), della legge delega n. 53 del 2000 –
l'art. 45 impugnato, nello stabilire il limite del primo anno di vita del
bambino anche per i genitori adottivi e per gli affidatari, avrebbe
oltrepassato i limiti della delega stessa.
Questa
censura è inammissibile.
Il
giudice remittente prospetta infatti il vizio di eccesso di delega nel
convincimento che il limite di un anno dalla nascita del bambino non fosse
già previsto dall'art. 10 della legge n. 1204 del 1971 e sia stato quindi
introdotto ex novo illegittimamente dalla norma censurata, ma di tale
convincimento il Tribunale di Ivrea non fornisce alcuna motivazione, con
la conseguenza che la questione, sotto il profilo qui esaminato, è
inammissibile.
5.?
La questione prospettata dal Tribunale di Ivrea è invece fondata per
violazione dell'articolo 3 della Costituzione sia sotto il profilo
dell'eguaglianza, perché la norma censurata assoggetta a eguale
trattamento situazioni diverse, sia sotto quello della intrinseca
irragionevolezza.
Si
premette che l'istituto dei riposi giornalieri, senza indugiare sulla
normativa anteriore alla Costituzione, aveva la sua originaria disciplina
nell'articolo 9 della legge 26 aprile 1950, n. 860, ed era regolato come
strumento finalizzato esclusivamente all'allattamento. La norma richiamata
attribuiva il diritto a tali permessi soltanto alle madri che allattavano
direttamente i propri bambini, prevedendo le pause in funzione di
quell'unica necessità, tanto che la predisposizione, da parte del datore
di lavoro, delle cosiddette camere di allattamento e dell'asilo nido
obbligava le lavoratrici ad allattare in sede, senza possibilità di
uscire dai locali aziendali.
I
riposi giornalieri erano quindi concepiti come complementari alle altre
misure dirette alla protezione della maternità biologica oltre che
parzialmente sostitutivi dell'astensione dal lavoro post partum.
Il
successivo articolo 10 della legge n. 1204 del 1971 dimostra già un
cambiamento di prospettiva. Infatti, la fruizione dei riposi risulta non
più strettamente connessa all'esigenza puramente fisiologica
dell'allattamento, tanto che la norma non obbliga più la lavoratrice ad
utilizzare le strutture eventualmente predisposte dal datore di lavoro,
quali le camere di allattamento e gli asili nido, e comincia a dare
rilievo all'aspetto affettivo e relazionale del rapporto madre-figlio.
E'
indubbio, quindi, che gli istituti a protezione della maternità nascono e
vivono per un certo tempo in un contesto sociale e ordinamentale nel quale
da un canto l'adozione, ed in particolare quella dei minorenni, ha scarsa
applicazione e svolge una funzione ben diversa da quella che avrebbe
successivamente assunto, dall'altro il ruolo del padre nella società e
nella famiglia è ancora concepito come del tutto secondario riguardo alla
crescita e alla educazione dei figli nei primi anni della loro vita,
sicché ciò che ha preminente rilievo è pur sempre la maternità
biologica. In tale periodo è soltanto la giurisprudenza ordinaria che,
non senza oscillazioni e contrasti, estende ai genitori adottivi i
benefici previsti per i genitori naturali.
6.?
Il quadro muta radicalmente a partire dagli anni settanta per effetto di
una serie di leggi di riforma (diritto di famiglia, parità di trattamento
tra uomo e donna in materia di lavoro, adozione dei minori) e di alcune
decisioni di questa Corte.
Limitando
l'indagine a ciò che più specificamente riguarda la questione in esame,
l'art. 6 della legge n. 903 del 1977 ha esteso alle madri adottive o
affidatarie gli istituti dell'astensione dal lavoro obbligatoria e
facoltativa e l'art. 7 ha attribuito anche al padre lavoratore il diritto
all'astensione facoltativa, ma solo a determinate condizioni.
Ciò
che occorre soprattutto sottolineare è che la legge, stabilendo che i
benefici potevano essere goduti, in caso di adozione o affidamento, nel
primo anno d'ingresso del bambino nella famiglia dell'adottante o dell'affidatario,
anche se limitatamente all'ipotesi che il bambino non avesse superato i
sei anni di età, ha attribuito rilievo alla diversità di esigenze del
bambino adottato rispetto a quelle proprie del bambino che vive con i
genitori naturali o con almeno uno di questi.
7.?
Questa Corte è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla
legittimità costituzionale delle norme disciplinanti gli istituti a
protezione della maternità e dei minori, in particolare sotto il profilo
della loro mancata o non totale estensione al padre lavoratore oppure ai
genitori legali (adottanti o affidatari).
Per
effetto di una serie di decisioni, tutte di accoglimento, il diritto
all'astensione obbligatoria ed ai riposi giornalieri, a determinate
condizioni, è stato esteso al padre lavoratore (sentenza n. 1 del 1987);
il diritto all'astensione facoltativa è stato riconosciuto alla madre
affidataria provvisoria e quello all'astensione obbligatoria alla madre
affidataria in preadozione (sentenza n. 332 del 1988); il diritto
all'astensione nei primi tre mesi dall'ingresso del bambino nella famiglia
è stato attribuito al padre lavoratore affidatario di minore per i primi
tre mesi successivi all'ingresso del bambino nella famiglia in alternativa
alla madre (sentenza n. 341 del 1991); il diritto ai riposi giornalieri,
infine,è stato esteso, in via generale ed in ogni ipotesi, al padre
lavoratore in alternativa alla madre consenziente, per l'assistenza al
figlio nel suo primo anno di vita (sentenza n. 179 del 1993).
8.?
Da quanto sinteticamente esposto risulta che gli istituti dell'astensione
dal lavoro, obbligatoria e facoltativa, ora denominati congedi, e quello
dei riposi giornalieri oggi non hanno più l'originario necessario
collegamento con la maternità naturale e non hanno più come esclusiva
funzione la protezione della salute della donna ed il soddisfacimento
delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma sono diretti anche,
come questa Corte ha già più volte affermato nelle motivazioni delle
sentenze suindicate, ad appagare i bisogni affettivi e relazionali del
bambino per realizzare il pieno sviluppo della sua personalità.
Ciò
che più rileva, ai fini della soluzione della presente questione, è la
piena coincidenza tra la ratio delle decisioni di questa Corte appena
richiamate e l'attività del legislatore. Questi, nel momento in cui ha
esteso misure previste in caso di filiazione naturale alla filiazione
adottiva ed all'affidamento ha avvertito che l'età del minore diveniva un
elemento, se non trascurabile, certamente secondario, mentre veniva in
primo piano il momento dell'ingresso del minore nella famiglia adottiva o
affidataria, in considerazione delle difficoltà che tale ingresso
comporta sia riguardo alla personalità in formazione del minore, soggetta
al trauma del distacco dalla madre naturale o a quello del soggiorno in
istituto, sia per i componenti della famiglia adottante o affidataria.
9.?
Il d. lgs. n. 151 del 2001, il cui articolo 45 è censurato dal Tribunale
di Ivrea, ha coordinato e razionalizzato tutta la disciplina di tutela
delle lavoratrici e dei lavoratori connessa alla maternità e paternità
dei figli naturali, adottivi e in affidamento, nonché le misure di
sostegno economico alla maternità e alla paternità (art. 1), ribadendo,
nei casi di adozione e di affidamento, la rilevanza del momento
dell'ingresso del minore nella famiglia per quanto concerne la fruizione
dei congedi (v. art. 26, comma 2; art. 31; art. 36, comma 2, del medesimo
decreto).
Le
difese della Presidenza del Consiglio e dell'INPS, pur convenendo
sull'evoluzione e sul mutamento di funzioni che gli istituti a sostegno
della maternità e della paternità hanno avuto nel corso degli ultimi
decenni, sostengono che quello dei riposi giornalieri conserva pur sempre
un collegamento con le necessità connesse alla prima età del minore,
come sarebbe dimostrato dall'art. 41 del d. lgs. n. 151 del 2001, secondo
cui la durata dei riposi è raddoppiata in caso di parto plurimo.
Tale
tesi non può essere accolta.
I
riposi giornalieri, una volta venuto meno il nesso esclusivo con le
esigenze fisiologiche del bambino, hanno la funzione, come si è detto, di
soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali al fine dell'armonico e
sereno sviluppo della sua personalità. Essi, pertanto, svolgono una
funzione omogenea a quella che assolvono i congedi e, più specificamente,
i congedi parentali. Ora, per questi il legislatore ha ritenuto rilevante,
in caso di adozione o di affidamento, il momento dell'ingresso del minore
nella famiglia, considerando l'età del minore, peraltro diversamente
disciplinata a seconda delle varie ipotesi di adozioni o affidamenti (per
l'adozione internazionale v. gli artt. 27 e 37 del d. lgs. n. 151 del
2001), esclusivamente come un limite alla fruizione dei benefici. Ne
consegue che restringere il diritto ai riposi per gli adottanti e gli
affidatari al primo anno di vita del bambino non soltanto è
intrinsecamente irragionevole, ma è anche in contrasto con il principio
di eguaglianza, perché l'applicazione agli adottanti ed agli affidatari
della stessa formale disciplina prevista per i genitori naturali finisce
per imporre ai primi ed ai minori adottati o affidati un trattamento
deteriore, attesa la peculiarità della loro situazione.
Nè
può indurre a diversa conclusione la richiamata disposizione sulla
disciplina dei riposi in caso di parto plurimo, poiché non solo le
esigenze fisiche ma anche quelle affettive richiedono un tempo maggiore
quando debbono essere soddisfatte riguardo a più persone.
Deve
essere, quindi, dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 45
del d. lgs. n. 151 del 2001, per contrasto con 1'art. 3 della
Costituzione, nella parte in cui non prevede che i riposi giornalieri di
cui agli articoli 39, 40 e 41 dello stesso decreto si applichino, in caso
di adozione o di affidamento, entro il primo anno dall'ingresso effettivo
del minore nella famiglia.
Rientra
nella discrezionalità del legislatore stabilire eventualmente dei limiti
alla fruizione dei riposi correlati all'età del minore adottato o
affidato.
Restano
assorbiti gli altri profili di censura.
PER
QUESTI MOTIVI
LA
CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara
l'illegittimità costituzionale dell'art. 45, comma 1, del decreto
legislativo 26 marzo 2001 n. 151 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità,
a norma dell'articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in
cui prevede che i riposi di cui agli artt. 39, 40 e 41 si applichino,
anche in caso di adozione e di affidamento, «entro il primo anno di vita
del bambino» anziché «entro il primo anno dall'ingresso del minore
nella famiglia»;
dichiara
l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale
dell'art. 10 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle
lavoratrici madri), e dell'art. 6 della legge 9 dicembre 1977, n. 903
(Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro),
sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dal
Tribunale di Trieste con l'ordinanza di cui in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 26 marzo 2003.
F.to:
Riccardo
CHIEPPA, Presidente
Francesco
AMIRANTE, Redattore
Giuseppe
DI PAOLA, Cancelliere
Depositata
in Cancelleria l'1 aprile 2003.
Il
Direttore della Cancelleria
F.to:
DI PAOLA