Si sperimentano nuove forme di
affidamento minori |
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LE NUOVE FAMIGLIE
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Estratto da
Repubblica del 15 Novembre 2004 |
La sfida difficile
dei genitori adottivi - Figli presi all'estero, due coppie su tre finiscono
per rinunciare |
- A quattro anni dalla
riforma della legge, il bilancio delle adozioni internazionali solleva
polemiche.
- E intanto si sperimentano
altre forme di affidamento in vista della chiusura degli istituti per i
minori.
ROMA - Due coppie su
tre dichiarate idonee all'adozione internazionale non giungono mai alla
fine del loro viaggio. Non diventano cioè genitori adottivi. Si fermano a
metà strada. Per stanchezza, disillusione, sgambetti burocratici, costi
troppo alti, enti inaffidabili, paesi d'origine che improvvisamente
chiudono le frontiere. Oppure si fermano perché mettono al mondo un
bambino, o semplicemente perché cambiano idea. Il risultato, scrive la
Commissione bicamerale per l'infanzia, è che a un certo punto dell'iter, "
i due terzi delle coppie scompaiono ".
Adozioni, così è cambiata l'Italia. Ombre e luci di un panorama in
evoluzione, a quattro anni dall'entrata in vigore della nuova legge (2001)
che ha cambiato radicalmente le regole dell'adozione internazionale,
spalancando le porte a migliaia di bambini di paesi lontani, mentre in
vista della chiusura degli istituti nel 2006 si stanno sperimentando nuove
forme di adozione nazionale, a cominciare da quella " mite " messa in atto
dal Tribunale del Minori di Bari per risolvere i casi di " semiabbandono
permanente " di ragazzini anche già in età scolare. E' un'indagine a tutto
campo sul mondo delle adozioni quella svolta dalla Commissione Infanzia
dal 2001 ad oggi, una miniera di dati che fotografano nel dettaglio la
composizione di queste " nuove " famiglie, sempre più simili alle famiglie
" naturali " dove l'età dei genitori adottivi oscilla dai 35 ai 44 anni,
mentre per i bambini adottati varia dagli 11 anni (sono i più grandi,
arrivano dalla Bielorussia), ai più piccoli, dal Vietnam, sotto l'anno di
vita. E sono proprio le adozioni internazionali quelle con il minor numero
di fallimenti, l'1,7% di bimbi "restituiti" contro il 3% dell'adozione
nazionale, tra gli anni che vanno dal 1998 al 2001.
Merida Bolognesi, parlamentare ds, è la relatrice della indagine
conoscitiva che dopo essere stata discussa dal Parlamento sarà presentata
ufficialmente il 19 novembre nella giornata Onu sui diritti dell'infanzia.
Spiega che tra i tanti nodi quello delle coppie che " scompaiono " è forse
uno dei più seri, perché non è chiaro " che cosa accade a questi aspiranti
genitori una volta ottenuta l'idoneità all'adozione internazionale, se
danno mandato ad un ente e poi si perdono nelle liste d'attesa perché
l'ente si rivela inadeguato, o se vengono scoraggiati dai costi troppo
alti delle procedura che oggi oscillano tra i quattromila e cinquemila
euro". Il risultato " è che così si perde una grande risorsa di persone
disponibili". Altro punto dolente è la volubilità dei paesi d'origine,
alcuni dei quali non hanno firmato "la Convenzione dell'Aja", come ad
esempio Ucraina, Russia e Romania (che di recente ha chiuso le frontiere
dell'adozione) e dunque "la loro legislazione interna non è compatibile
con la nostra".
Per Melita Cavallo, responsabile della Commissione Adozioni Internazionali
il dato sulle coppie che "scompaiono" è da leggere però in modo diverso. "
La legge funziona. Questo non vuol dire che non ci siano enti pi o meno
affidabili e che in alcuni casi il business abbia prevalso sulle
motivazioni iniziali. E' vero però che ci sono decine di coppie che ad un
certo punto si fermano. Ma le motivazioni sono molteplici. In buona parte
dei casi, almeno il 20% hanno un figlio proprio, un altro 10% ottiene
l'adozione nazionale. Oppure accade che la coppia si rende conto che la
realtà è ben diversa da come l'avevano immaginata, i bambini che vengono
proposti non hanno certo i requisiti sognati, e sono sempre più frequenti
i casi in cui le coppie rifiutano bimbi troppo somaticamente lontani da
loro, e così i tempi si allungano a dismisura e gli aspiranti genitori
rinunciano. E comunque non ci si deve nascondere che in moltissimi casi,
direi l'80%, si fa domanda di adozione internazionale perché non c'è
disponibilità per quella nazionale. Il vero problema quindi è la
motivazione". Tra il 2000 e il 2003 a fronte di 18.062 decreti di idoneità
sono state soltanto 6.064 coppie che hanno chiesto l'autorizzazione
all'entrata in Italia di minori stranieri. Ciò vuol dire che soltanto un
terzo delle coppie è arrivata alla fine della strada, ha portato cioè in
Italia un bambino da amare e da allevare.
Se queste sono le difficoltà (e i successi) dell'adozione internazionale,
è il dato nazionale, oggi, ad essere il più controverso."Oggi in Italia i
minori da adottare sono pochissimi. C'è invece un esercito di bambini e
adolescenti, circa trentamila -ricorda Marida Bolognesi- che vivono in uno
stato di semiabbandono permanente, negli istituti, nelle comunità. Hanno
un qualche legame con genitori, o parenti anche se non esistono le
condizioni per un loro rientro in famiglia. Per tutti questi casi si
potrebbe pensare una forma di 'adozione aperta', in cui il bambino viene
dato in adozione, diventa 'figlio' a tutti gli effetti della nuova
famiglia, di cui porta anche il cognome, ma non recide i legami con i
genitori biologici. Una formula sperimentata dal Tribunale dei Minori di
Bari, nella forma dell' 'adozione mite'
già in sei casi".
(Articolo di Maria Novella De Luca)
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Articolo
sulla Adozione mite |
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