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Adozione Internazionale, storie felici...

Un Bimbo venuto da lontano

Estratto da 'Io Donna' del 29 Novembre 2003

Le adozioni internazionali aumentano, soprattutto dall'Est.
 Una scelta impegnativa per i genitori. Ma ricca di emozioni. Come in queste storie felici.

"Vitaliy è vivace e curioso. Aveva sei anni quando siamo andati a prenderlo: giocava nel bosco accanto all'istituto, nessuno lo aveva avvisato del nostro arrivo. Ci è corso incontro con un sorriso accennato, sorpreso. poi ci ha abbracciati, tenendoci stretti per un giorno intero, senza dire una parola. L'indomani ci ha chiamati mamma e papà". Franco Milani, quarant'anni, funzionario della Regione Lombardia e sposato con un'insegnante, ha trovato il suo secondo figlio in Ucraina. Il primo lo aveva conosciuto anni prima in un orfanotrofio vicino a Pavia. E presto arriverà anche il terzo, "da dove non lo so" dice lui.

"Adottare significa lasciare la porta aperta: non siamo noi a scegliere chi entrerà". Un atto d'amore, non un ripiego per le coppie infertili: è in quest'ottica, oggi, che i genitori adottivi guardano la loro scelta di vita. Senza nascondersi l'impegno cui vanno incontro, perchè i figli venuti da lontano portano un bagaglio di ricordi quasi mai rosei. Lo ha ribadito la Commissione per le adozioni internazionali, presentando la prima ricerca sull'integrazione scolastica dei bambini adottati dall'estero, da cui risulta che spesso padri e madri (per lo più di ceto e cultura medio-alti) si aspettano troppo dai figli acquisiti e cercano negli insegnanti un sostegno che non sempre questi sono preparati a dare. Il 40 per cento dei bambini adottati frequenta una classe inferiore a quella della loro età, nella maggior parte dei casi per problemi di lingua: secondo le ultime statistiche della Commissione, quasi la metà di questi figli stranieri ha già tra i sei e i dieci anni, al momento dell'ingresso in Italia, e l'altra metà ha dai tre ai cinque anni.

Chi prepara le coppie in procinto di adottare insiste sulla differenza tra genitorialità biologica e adottiva. "La prima è una passeggiata in riva al mare, la seconda un sentiero di montagna" dice Marco Chistolini, psicologo del Ciai (Centro italiano aiuti all'infanzia). "Gli scenari sono entrambi bellissimi, ma le difficoltà diverse, perchè nell'adozione bisogna arrivare per gradi a spiegare al bambino la sua storia di abbandono, senza attendere le sue domande. E guai a dimenticare la sua dimensione etnica: è importante parlargli del suo paese, tornarci insieme, nutrire questa radice accanto a quella italiana. E' parte di lui". Il compito non è facile, ma l'importante è capire che così non si toglie nulla al rapporto. "Se il legame biologico fosse davvero fondamentale, non esisterebbero i bambini abbandonati" ragiona Valeria Dragone, insegnante, presidente del Ciai e madre adottiva di due giovani italiani quasi trentenni e di due ragazze indiane di 26 e 22 anni. "Solo uno dei miei figli ha deciso di non indagare sulle sue origini, gli altri hanno voluto sapere. Marilina si è sempre sentita italiana: l'abbiamo adottata nel '79 a venti mesi. Da piccola l'India non le interessava, poi ha cominciato a pensare a quel paese come il luogo magico delle sue fantasie. Finchè, a 16 anni, l'ha portata con me a Bangalore a prendere la sorellina Margaret, che aveva già 12 anni. Ci è tornata da sola, anni dopo, ospite nell'istituto dove aveva vissuto da neonata: le suore le hanno raccontato la sua storia. E così lei ha ricomposto il suo puzzle psicologico e trovato un equilibrio per la sua doppia appartenenza, italiana e indiana. Anche l'altra mia figlia sta intraprendendo lo stesso percorso. Io non nego l'importanza dei nove mesi di simbiosi tra madre e figlio, ma credo che non bastino a definire il rapporto : questo va detto forte, perchè l'adozione non è un surrogato".

Quest'anno le adozioni internazionali hanno avuto un'identica impennata. Da gennaio a giugno, secondo gli ultimi dati della Commissione, sono entrati dall'estero 1.382 bambini, contro i 2.225 dell'intero 2002 e i 1.797 del 2001. I maschietti prevalgono leggermente e il 70 per cento è accolto da coppie senza figli. "Abbiamo firmato accordi con Lituania, Bielorussia, Bolivia, Vietnam e Russia" spiega la presidente Melita Cavallo. "Entrano i primi bambini slovacchi e presto ci saranno protocolli d'intesa con Cina, Etiopia e Ucraina. Non sono solo carte: ci permettono di definire le procedure per renderle più veloci e trasparenti". Proviene dall'Ucraina quasi un quarto dei 5.750 piccoli stranieri adottati dalla fine del 2000 (anno in cui è nata la Commissione e sono ufficialmente finite le adozioni fai-da-te). Molti gli ingressi anche da Bulgaria, Colombia , Bielorussia, Russia e Brasile. Più arduo, invece, muoversi negli stati islamici. "C'è una legge, la Kafala, che vieta l'adozione, anche se gli altri aspiranti genitori da altri paesi islamici vanno negli istituti a scegliere i bambini come al mercato" spiega Ermes Carretta, volontario dell'Aibi (Associazione amici dei bambini) e padre adottivo di Marco, che ha vissuto i suoi primi due anni nel centro Lalla Meriem di Rabat, in Marocco. "Le pratiche sono state complicate, è dovuto intervenire il nostro ambasciatore". Due anni dopo quell'esperienza così forte, la moglie di Ermes è rimasta incinta. "La chiamano infertilità psicologica" spiega lui." E l'adozione, poiché rilassa la coppia, a volte la " cura ". Oggi Marco e la sorellina , che hanno 11 e 7 anni, sono inseparabili. La piccola Giulia si arrabbia quando a scuola le chiedono se quel bimbo tanto scuro è davvero suo fratello: "Perché, non si vede?" ribatte lei. Per Adele Vezzola, invece, entrare nell'istituto russo di Rostov a conoscere il suo Alexei è stato come ripercorrere la propria storia personale. "Anch'io sono cresciuta in orfanotrofio" confida. "A mio figlio l'ho raccontato, spiegandogli la differenza tra lui e i suoi compagni. Loro sono nati dalla pancia della mamma, tu dal nostro cuore".

 

(di Emanuela Zuccalà)
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             Aggiornato il 13-08-2015