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Scuola & Adozione - In classe c'è un adottato

IN CLASSE C'E' UN ADOTTATO

Estratto da Io Donna del 13 Maggio 2006

Non sono bimbi a rischio. Ma richiedono sensibilità da parte degli insegnanti.
Soprattutto quando si indagano le origini e i primi ricordi.

Sandhja, adottata a due anni dal sud dell'India, le maestre di terza elementare hanno affiancato un mediatore sik, di tutt'altra regione, lingua e cultura. A James, adottato dal Brasile, la supplente ha chiesto: «Raccontaci cosa si mangia al tuo paese». Lui è scoppiato in lacrime, non ricordava nulla, e per la prima volta si è sentito uno straniero. Ordinarie gaffe degli insegnanti di fronte a bambini particolari, che fanno i conti con una complessa storia personale e intanto devono imparare che sono italiani e uguali agli altri. In materia di adozione, nazionale o internazionale che sia, la scuola prende insufficiente dallo stesso ministero dell'Istruzione, che ha appena tenuto a Torino un seminario per incoraggiare docenti elementari a conoscere meglio questi allievi speciali.
Gli errori più frequenti? «Considerare l'adozione una patologia, relegando il bambino nella categoria dei minori a rischio» osserva Marilena Piazzoni, responsabile delle adozioni internazionali per la Comunità di Sant'Egidio. «Ho visto alunni senza difficoltà di apprendimento mandati dallo psicologo solo perché adottati. E per chi è arrivato da grandicello c'è lo scoglio della lingua: in tutta Europa le scuole organizzano corsi a parte per loro; in Italia è un compito a carico delle Famiglie».
Difficile, poi, valorizzare nel modo giusto l'identità etnica: con i bambini dell'Est, perché loro stessi si mimetizzano sotto tratti somatici europei; con gli altri, perché la pelle scura rischia di suscitare nei compagni frasi razziste. «La diversità non va ignorata, ma trattata con lavori di gruppo sulla geografia e le tradizioni culturali» spiega Marco Chistolini, psicologo dell'associazione Ciai. Nel suo libro Scuola e adozione, che esce in questi giorni per Franco Angeli, tratta il momento scolastico che più mette in crisi il bambino adottivo: quando la maestra, per introdurre il concetto di tempo e lo studio della storia, chiede le foto da neonati, a volte perfino l'ecografia. «Basterebbe lasciarli liberi di presentare i loro ricordi preferiti: i figli adottivi porteranno un giocattolo, i biglietti aerei, oggetti significativi del primo incontro con i genitori. Un altro metodo è riflettere in classe sul fatto che buoni genitori si diventa».
Chistolini suggerisce di partire da Cenerentola e Hansel e Gretel, ma sconsiglia, per esempio, fiabe come La gabbianella e il gatto in cui viene rimarcato il prevalere dell'appartenenza biologica. È però vero che, in media, i figli adottivi a scuola rendono meno degli altri: «Anche se arrivati da piccoli, hanno un vissuto di abbandono che interferisce con l'attenzione» chiarisce lo psicologo. «Chi ha subito un trauma sta in allerta, fatica a stabilire connessioni, a provare curiosità. L'insegnante deve approfondire queste difficoltà, per distinguere l'aspetto psicologico da un reale disturbo d'apprendimento». Che la scuola sia ferma a un'idea superata di famiglia "tradizionale", lo confermano i diretti interessati: «C'è poca attenzione al linguaggio: oggi in classe si parla di adottare cani e monumenti, come deve sentirsi un figlio adottivo?» nota Emilia de Rienzo, insegnante alle medie,consulente dell'associazione Anfaa e autrice del libro Star bene a scuola si può?, appena  pubblicato da Utet. «Si lavora troppo sull'intelligenza e poco suil'emotività dei ragazzi».

Lo sottolinea anche Patrizia Quartieri, maestra elementare e due volte madre adottiva: «La foga del programma ci impedisce di seguire i tempi di ogni bambino. Che non significa tracciare percorsi agevolati per l'allievo adottato, si sentirebbe commiserato. Vuoi dire ascoltarlo, rallentare un po'. E placare l'ansia da prestazione di tanti genitori adottivi, che vivono l'ingresso a scuoia dei figli come un esame su se stessi». Quando il bambino si sente accettato, arriva a raccontare da solo la sua storia. Come un piccolo cambogiano, al compagno che gli chiedeva perché sua madre non avesse gli occhi a mandorla: «I bambini nascono o dalla pancia o dall'aereo» gli ha risposto, tranquillo,  «io sono nato dall'aereo».

a cura di Emanuela Zuccalà

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Il nostro commento

E' un dato di fatto: i nostri bambini avrebbero bisogno di essere più seguiti in classe. Non vogliamo che la scuola 'si fermi' per loro, chiediamo solo che sia data più attenzione e rispetto. Nell'articolo si parla di come la famiglia adottiva si trovi speso ad affrontare da sola questo maggiore impegno: molte volte le energie di noi genitori si esauriscono e finiscono per mettere in crisi la serenità familiare.

Qualche settimana fa Emanuela Zuccalà del Corriere della Sera ci ha contattato per approfondire questo tema ed entrare in contatto con Patrizia Quartieri che ha collaborato con noi per una serata incontro e per il documento pubblicato sul nostro sito. Abbiamo letto con piacere l'articolo poiché Il tema 'Scuola & Adozione' è davvero uno dei temi più sentiti nel post-adozione, da tutte le famiglie adottive.

Nella speranza che anche questo serva per sensibilizzare le istituzioni e gli insegnanti meno attenti a riguardo di questa sentita necessità.

Stefano Piovani

 

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             Aggiornato il 13-08-2015