-
a cura di Antonella Mazzon, Ottobre 2003
Mi chiamo Antonella Mazzon, sono mamma di due bambini: Alessia,
10 anni, Michail, 4 anni, arrivati nella nostra famiglia rispettivamente a due
anni e mezzo e a 8 mesi, Alessia dall’Italia e Michail dalla Russia. Sono state per noi due esperienze profondamente diverse, perché diverse, pur se
di poco, erano le età , perché diversa era la provenienza, diverso il contenuto
delle “valigie” che i nostri figli portavano con sé. Alessia è rimasta a casa con me 8 mesi, dopodiché io sono dovuta rientrare al
lavoro. Ha iniziato a frequentare la scuola materna a 3 anni e mezzo, senza mai
praticamente manifestare “crisi” dovute all’inserimento. Le colleghe si complimentavano per la serenità con la quale la bambina accettava
di rimanere nella sua classe pur essendo io presente nella scuola, in una classe
diversa,ad occuparmi di altri bambini. In realtà in Alessia era sì entrata nella nostra famiglia ma ancora non era
diventata nostra figlia. Ci sono voluti tempo e impegno perché lei capisse cosa
fosse una famiglia,perché desiderasse e non subisse di stare in una determinata
casa con due persone chiamate mamma e papà (il cui significato lei non aveva
compreso). Già, perché ci sono cose che non si imparano sui libri, o ascoltando una storia,
o solo perché qualcuno te le racconta, che cosa è una famiglia, cosa sono i
genitori, perché ci siano determinate regole da osservare anche se fanno
arrabbiare così tanto. Alessia non era mai stata in famiglia, i suoi due anni e mezzo li ha vissuti
tutti in una struttura protetta, in un istituto, con bambini che vivevano
situazioni simili alla sua, con persone che si occupavano di loro senza esserne
i genitori. I genitori sono e restano figure insostituibili di riferimento, ma non lo
diventano automaticamente quando il bimbo arriva a casa, si diventa genitore e
si diventa figlio piano piano, con i piccoli gesti di ogni giorno, conoscendosi,
togliendo di qua, aggiungendo di là,per attaccare ogni tanto un piccolo pezzo
del puzzle che è la nostra vita e quella dei nostri figli. Michail è diventato nostro figlio per mezzo di un’ adozione internazionale ad 8
mesi, apparentemente meno provato ma in realtà portava con sé tracce indelebili
del suo pur breve passato, non era abituato al contatto fisico perché a lui
erano sconosciute le braccia di una mamma che culla. L’ingresso a scuola costituisce una tappa fondamentale nella vita dei nostri
figli, è un po’ come “il ballo delle debuttanti”, è l’entrata ufficiale in
società, e spesso crea nei genitori (tutti!) stati di ansia. In tutto ciò
sicuramente la nostra cultura gioca un certo ruolo, non è casuale che noi mamme
italiane veniamo amorevolmente soprannominate “mamme chioccia”;quando i genitori
si trovano a fare i conti con i propri timori pensano in realtà che i bambini si
trovino a vivere situazioni ignote (cosa faranno?) in uno spazio sconosciuto (la
scuola sarà sufficientemente adeguata alle esigenze di mio figlio?), affidati a
persone estranee ( ma queste maestre saranno veramente capaci?). Detto così non sembra un quadro rassicurante, ma intendo ribadire che il
discorso non tocca solo chi ha figli adottivi, ma in generale tutti i genitori. La psicologa e psicoterapeuta A. Oliverio Ferraris, nel suo libro “Il cammino
dell’adozione”, dice: “L’ingresso a scuola è un passaggio importante per tutti i
bambini. In casa sono accettati per quello che sono, seguiti, amati, scusati,
sostenuti. A scuola devono conquistarsi la simpatia dei compagni, devono capire
come comportarsi per essere accettati. Possono anche scoprire di non piacere o
di essere oggetto di curiosità non lusinghiere o insistenti. Se hanno un aspetto
diverso da quello degli altri, i compagni lo notano, lo dicono, chiedono
spiegazioni. La diversità incuriosisce e qualche volta allarma. Alcuni possono
prendere di mira un compagno per sentirsi superiori, rassicurarsi, essere certi
di non essere “diversi…”. Mi piacerebbe uscire da preconcetti e arrivare non ad omologare ma piuttosto a
cogliere sfaccettature e diversità nell’intera collettività scolastica. Chi arriva a scuola è essenzialmente un bambino, con una testa, due braccia, due
occhi, con un particolare colore della pelle…..,con una sua storia personale
unica ed irripetibile alle spalle. Non esiste un bambino uguale ad un altro, nessuno di noi stessi qui presenti è
uguale ad un’altra persona. Certo, ci sono situazioni di appartenenza simili, ma non omologabili. Per capirci, non esiste una famiglia modello da prendere ad esempio supremo ed
al per forza fare riferimento. Non esiste un solo tipo di famiglia Le scuole italiane sono diventate negli ultimi anni una Babele multietnica ,
variopinta e colorata,nella scuola sono in atto nuove trasformazioni, ma anche
nuove problematiche di carattere interculturale. Ci sono : - bambini provenienti da famiglie cosiddette “standard” - bambini provenienti da altre culture, nati in altri paesi - bambini figli di genitori immigrati, ma nati in Italia - bambini figli di coppie miste - bambini nati da pance diverse da quelle delle loro mamme (sono i nostri figli) - bambini figli di genitori separati - bambini che vivono in affidamento presso altre famiglie - bambini che vivono in famiglie allargate (con i nonni) - bambini svantaggiati - bambini con handicap. Alla luce di questi dati non si capiscono allora certi stereotipi sui quali
molte delle nostre scuole continuano a lavorare, e che riprenderemo più avanti. Come si legge in una relazione redatta da gruppi di studio composti da giudici
togati ed onorari del TM Lecce,”Nella scuola, il tema della multietnicità si
interseca e nello stesso tempo si distingue da quello dei minori stranieri
adottati in Italia che ha assunto una notevole rilevanza sociale. L’adozione
internazionale e la presenza di minori stranieri ha sollecitato gli operatori
scolastici a riflettere sui problemi e sui vissuti di bambini/ragazzi inseriti
in un nuovo contesto familiare e in un contesto sociale e culturale differente.” Al bambino va riconosciuto il “diritto alla diversità”, che si traduce in una
molteplicità di storie personali che ciascun bambino porta con sé nel momento in
cui arriva a scuola. E’ pur vero che alla scuola viene chiesto sempre di più, sia dal punto di vista
della professionalità e della preparazione dei docenti, senza che essi stessi
siano messi comunque nella giusta condizione per poter operare nel modo
migliore, ma si aprirebbe qui una polemica che non accenno neppure, certo è che
di fronte all’aumento delle problematiche sociali ed educative in relazione alla
società multietnica nessuno può rimanere indifferente. E’ sicuramente importante quindi che la scuola, di qualunque ordine e grado essa
sia, debba compiere la sua parte, impegnandosi e operando concretamente, - per garantire un corretto processo di socializzazione - per una integrazione scolastica positiva - per superare gli stereotipi - per educare alla solidarietà sociale. Non si tratta però solo di parlare dell’ambito scolastico,
la scuola è una
cellula importante della società, nella quale si ritrovano preconcetti legati
alla propria appartenenza e al proprio tipo di vita sociale, di valori. E’ vitale al punto in cui siamo che si operi dal dentro, per portare i bambini
ad un allargamento di vedute,” al vivere non un’identità chiusa ma ad apprendere
ad andare verso, ad apprendere il nuovo, a muoversi tra modelli di vita, di
pensiero, di cultura, profondamente diversi, senza aver paura delle loro
diversità, senza disorientarsi…esiste infatti il diritto alle differenze di
intelligenze, di culture, di credo religioso…”. Nella scuola si dovrebbe lavorare sul rispetto delle diversità, qualunque esse
siano, vedendole non come limite ma come valore. Un’importanza enorme assume il dialogo. Entra quindi in gioco in modo preponderante la famiglia, che rimane e rimarrà
per sempre la prima e più importante “agenzia educativa” per il proprio figlio. E’ auspicabile che la famiglia dialoghi con le insegnanti perché tramite questo
si favorisce la conoscenza. Saranno poi le insegnanti che, sulla base delle analisi delle situazioni di
partenza, metteranno in atto principi metodologici mirati ad aiutare ciascun
bambino a costruirsi una identità positiva, un Io forte. E’ importante che a scuola venga data fiducia al minore, se egli sentirà che gli
adulti lo valutano positivamente, anche lui/lei si sentirà in grado di fidarsi
di se stesso prima e degli altri poi e avrà così la base per aprirsi a ulteriori
apprendimenti, anche di tipo cognitivo. Certo, queste regole di tipo generale valgono per tutti ma per i nostri figli
non si può negare che esistano sfaccettature diverse, spesso più dolorose, e che
dipendono in larga parte: - dall’età in cui il bambino è entrato in famiglia - da come ha elaborato l’essere figlio, per es. di colore in una famiglia di
bianchi - dalle esperienze vissute precedentemente - dalla cultura originaria di derivazione. - dalla sua età “affettiva” che può differire dalla sua età cronologica Tutte queste situazioni e molte altre ancora possono innegabilmente portare a
difficoltà nella vita scolastica del bambino: - di tipo disciplinare: - di apprendimento:
- di inserimento con i compagni Non va dimenticato che i nostri figli hanno subito, come ci ricorda il dottor
Chiosso, ordinario di pedagogia generale all’università di Torino “ una
deprivazione affettiva nella prima infanzia, che può incidere negativamente
sullo sviluppo personale, può influire pesantemente sull’apprendimento…anche gli
alunni in adozione più fortunati e sereni esigono dalla scuola una particolare
attenzione e atteggiamenti ispirati a sensibilità e delicatezza, in modo da
prevenire possibili disagi collegati ai loro diversificati rapporti familiari” - Non esiste una ricetta per superare queste difficoltà, a volte può essere
utile anche l’intervento di qualche specialista che aiuti insegnanti, genitori
ma soprattutto il bambino, a trovare la via giusta per superare queste
difficoltà - Per tutti i genitori ma ancor più per i nostri figli è importante seguire
personalmente il bambino a casa, nell’esecuzione dei compiti - Il fatto che sia adottivo poi non va sicuramente sbandierato ma nemmeno tenuto
nascosto, per cui, nei modi e nei tempi che uno ritiene opportuni, può parlare
dell’adozione con altri, con altre mamme, si può contribuire così a far capire
cosa sia l’adozione, a far crescere una reale “cultura adottiva” visto che nella
nostra società esistono purtroppo ancora troppi pregiudizi
- il genitore, senza sostituirsi al bambino, deve aiutarlo a corazzarsi perché,
man mano che cresce,sappia difendersi da solo e rispondere a domande che prima o
poi gli verranno rivolte e che potrebbero anche ferire profondamente. Un atteggiamento che mi permetto di suggerire, visto diverse esperienze,
è di
non avere fretta nell’inserire il bambino nella scuola, in generale è bene che
il bambino faccia prima propria la nuova condizione di figlio e poi venga
inserito nella scuola. E’ importante a mio parere costruire le basi, le
fondamenta, perché poi il bimbo si possa aprire anche agli altri. E’ pur vero
che ogni caso sicuramente va valutato personalmente singolarmente e sentiti più
pareri. Le diversità tra i bambini dovrebbero rappresentare una “risorsa per far
scuola”, per “parlare di famiglia a scuola”, per ampliare l’orizzonte dei
termini di paternità, maternità, filiazione. Chiaramente ciò avviene in modo diverso perché diversi sono gli ordini di
scuola, in riferimento alle età ed alla maturazione psicofisica dei ragazzi. “La scuola dell’infanzia”, come recitano gli Orientamenti del 1991, “accoglie
bambini dai 3 ai sei anni ed aiuta il loro processo di crescita affettiva,
sociale, culturale, umana.” Ci si può approcciare alla multiculturalità, alla “multifamiliarità” in modo
molto semplice, mediante danze, abitudini familiari, giochi, fiabe. Tutto sommato, tranne alcuni casi sporadici, tutto passa abbastanza liscio alla
scuola dell’infanzia. Qualcosa comincia a cambiare quando si passa ordine di scuola e si arriva alla
scuola elementare,nella quale i principi di base sono gli stessi ma a volte, non
troppo sporadiche purtroppo, ci si trova di fronte a situazioni veramente
problematiche. Esistono studi compiuti su testi di lettura per la classe prima del primo ciclo
elementare di diverse case editrici nazionali, nei quali si trovano racconti che
per la maggior parte continuano a mostrare l’immagine della tipica famiglia
tradizionale, dove la filiazione è intesa solo in senso biologico ed i genitori
vivono sotto lo stesso tetto in perfetta armonia. Si trascurano quindi le altre
innumerevoli realtà della nostra attuale società. Il problema non sta tanto nel non usare questi testi quanto nell’integrarli
illustrando anche gli altri modelli di famiglia, in modo che il bambino si possa
riconoscere all’interno di uno di quelli proposti e non sentirsi discriminato.
La forza della diversità, che esiste, sta nella sua valorizzazione, come
risorsa. Ed arriviamo al tanto discusso albero genealogico, a cui spesso si ricorre nella
scuola italiana. E’ probabilmente un approccio corretto quello di partire dal vissuto del bambino
per comprendere il concetto di storia ma nulla impedisce che possa essere
affrontato in modi diversi. Può essere usata, come suggerisce la dottoressa Ferraris, nel suo libro “Il
cammino dell’adozione” (ed. Rizzoli) non soltanto la chioma ma anche le radici,
in un albero nel quale le radici rappresentano il vissuto “biologico” e la
chioma il vissuto attuale. Utilizzando questa struttura, i bambino adottati possono rappresentare tutte le
persone che hanno avuto una parte importante nella loro vita. Le radici non sono visibili ma vincolano l’albero al terreno, proprio come i
genitori biologici hanno fornito il bambino di un patrimonio genetico che farà
sempre parte di lui. L’istituto ad es. è il tronco, che lo ha tenuto in custodia e lo ha aiutato a
crescere per un certo tempo. La famiglia adottiva è la chioma dell’albero (rami,
fiori, foglie, frutti). Nello svolgere questa attività il bambino scopre di non dover sopprimere una
parte della sua storia e capisce il ruolo che le varie persone hanno avuto nella
sua vita. La mia casa (schema della casa con la gente all’interno o uno schema con simboli
per le persone e linee che mostrano le relazioni. Si può chiedere ai bambini di fare liberamente in gruppo una lista di differenti
tipi di famiglie, facendo fare poi il ritratto della famiglia e che cosa
significa per loro, con disegni, pitture, sculture. Con questo tipi di lavori si
potrebbe iniziare anche un percorso sui tipi di famiglie e sui modi differenti
in cui sono formate. Questo serve per tutti i bambini si introducono parole e relazioni nuove, si
comprende il proprio posto all’interno della famiglia e si può arrivare anche a
comprendere, per es., da dove arrivano i nostri antenati, pur non essendo stati
adottati. C’è poi la famosa foto da neonati. A molti di noi è capitato di trovarsi di
fronte a tale situazione. Non c’è da bluffare. L’obiettivo. Che sottostà a questa richiesta è quella di
illustrare il cambiamento, ed allora basta far portare una foto di quando il
bambino era più piccolo, oppure si può suggerire di far portare anche oggetti
facenti parte del suo passato. Ci sono altre situazioni dolorose nella vita sociale e scolastica dei nostri
figli, ad una apertura dei nostri figli può corrispondere una curiosità morbosa
da parte dei compagni (ma allora quelli non sono i tuoi veri genitori), alla
quale i nostri figli devono saper far fronte. I nostri figli convivono con il
fatto doloroso che i loro genitori biologici non hanno potuto (o voluto) tenerli
con loro. E’ difficile ma necessario parlare di queste cose con bambini piccoli. Gli insegnanti sono delle figure significative nella vita dei bambini, delle
quali loro si fidano, e che sono chiamati ad aiutarlo a fronteggiare le sue
emozioni e a riconoscersi positivamente come persona. Anche il linguaggio usato
ha una sua rilevanza: a volte le parole sono letali, feriscono più di uno schiaffo.
Trovo che ci sia disponibilità da parte delle insegnanti ma scarsa conoscenza
delle problematiche ed una certa abitudine a considerare tutti i bambini allo
stesso modo. Ma se il principio di uguaglianza può valere in molti casi, non si può certo
proporre pari pari gli argomenti allo stesso modo a tutti i bambini poiché
diversa è la loro provenienza e gli insegnanti hanno realmente un compito
difficile, quello di essere molto attenti ai vissuti dei ragazzi, alle dinamiche
relazionali esistenti tra il gruppo-classe ed i suoi vari componenti e di
sapersi relazionare con ognuno di loro guardandoli sempre con occhi nuovi. |