Adozione e difficoltà scolastiche
a cura di Anna Genni Miliotti, Marzo 2012

Nel periodo del post-adozione la più grande sfida che attende il bambino adottato e la sua famiglia è senz’altro l’inserimento scolastico. La scuola, nonostante siano trascorsi anni dallo sviluppo dell’adozione in Italia, non ha ancora affinato strumenti e risorse per accogliere in maniera corretta le migliaia di bambini adottati,  stranieri o italiani. E lo sottolineo con dispiacere, perché da oltre 20 anni che mi occupo di adozione, con collaborazioni e progetti speciali svolti nelle scuole anche con l’apporto del Ministero della Pubblica Istruzione Università e Ricerca, i risultati sono assolutamente insoddisfacenti.

I fronti su cui la scuola dovrebbe lavorare sono due:
- accogliere il bambino adottato, adeguando i progetti didattici in maniera da non emarginarlo;
- aiutare il bambino adottato a superare le sue eventuali difficoltà di apprendimento e relazionali.

Per il primo punto, quante storie sono come quelle di mamma Patrizia e di suo figlio, che chiameremo Albert:

“Sono la mamma di un bambino adottato di 12 anni. All’epoca, ne aveva 4. Adesso frequenta la prima media, è un bambino meraviglioso, spiritoso e intelligente… il suo problema è la scuola che lui odia e che è fonte per lui di continue frustrazioni e per noi di continue preoccupazioni: nonostante ci si raccomandi, ci cerchi di spiegare agli insegnanti la sua situazione e le sue difficoltà, lui finisce sempre per sentirsi inadeguato rispetto alle richieste dell’istituzione scolastica, che richiede competenze linguistiche che lui non ha, competenze matematiche che stenta ad automatizzare, altre competenze che ha ma che rifiuta di utilizzare…
E’ un calvario: “Signora, Albert è un alunno che mi preoccupa… Non segue affatto le lezioni di inglese, trascura i compiti… La storia è per lui lettera morta…” E così via. Nei week end c’è sempre qualche compito da finire, si cerca di recuperare le cose non fatte durante la settimana, tutto sembra tranquillo ma poi il compito in classe va male…”

Ne segue la totale disaffezione per la scuola, che è vista come luogo di disagio, e ci si concentra meno di quello che si potrebbe, e si impara meno di quello che si vorrebbe. E finisce con l’emarginazione in classe: Albert diventa lo stupido di turno, quello che non capisce e non riesce a studiare.

E ancora: 

“La scuola è totalmente impreparata ad accogliere i bambini adottati, gli insegnanti sono totalmente all’oscuro del loro universo psicologico e di come affrontare i loro problemi di apprendimento. Anche quelli umanamente più disponibili, non si rendono conto che un bambino la cui madrelingua non è l’italiano non può leggere le “Favole italiane” di Italo Calvino in prima elementare e non gliene può fregare di meno che l’inciso si chiama inciso e che il complemento di materia è un tipo particolare di complemento che assomiglia a quello di specificazione ma non è tale… “

E una domanda sorge allora spontanea: 

“E’ davvero importante che questi bambini sappiano queste cose? E come ottenere che per chi presenta questo tipo di svantaggio scolastico, esista la possibilità di un binario di valutazione separato, senza che il bambino venga bollato e stigmatizzato?”

Certo c’è anche chi si inserisce bene, da subito ma…

“C’è voluto poco, pochissimo. Si è inserito nella classe da subito. E’ comunque sempre stato con un gruppetto di “coda”, di quelli un po’ meno bravi e confusionari.” [1]

Certo sarebbe sbagliato pensare che questi ragazzi, spostati da un luogo all’altro, alla ricerca di una famiglia definitiva e permanente, andranno poi bene a scuola. Come alunni, sono pieni di ansie, che ne impediscono la concentrazione. Andrebbero aiutati, soprattutto abbassando aspettative e obiettivi. Se sono troppo alti, non riusciranno a raggiungerli, e ciò provocherà insuccesso scolastico, con tutti i disagi conseguenti che tutti ben conosciamo: basso senso di autostima, odio per la scuola, e anche disturbi comportamentali e di relazione con compagni e insegnanti.

E’ solo che spesso questi particolari alunni stanno ricevendo più informazioni e nozioni di quante ne siano capaci di assorbire e elaborare nei testi. Così finisce che questi bambini vanno male a scuola.

Ma attenzione: ciò non significa che non siano intelligenti. E’ la scuola a non essere intelligente e preparata.

Certo ci sono i test per i Disturbi di Apprendimento, che sono molti e diffusi tra i bambini adottati, come anche tra gli altri bambini. Molti sono affetti da ADD (Attention Deficit Disorder) ed anche ADHD (Attention Deficit Hyperactive Disorder), soprattutto quelli che soffrono di sindrome feto-alcolica, e quelli che avevano madri di nascita che facevano uso di sostanze stupefacenti. Ma ogni teoria che si rifà a pure cause biologiche, oltre ad essere superata, non spiega e non aiuta a comprendere le difficoltà presenti in molti. E sono soprattutto gli educatori che dovrebbero comprendere che le difficoltà per questi bambini derivano dalle esperienze trascorse, e non dal loro DNA.
Questo dovrebbe aiutare a riflettere sui sistemi educativi e sulla didattica adottata in classe. Dovrebbe aiutare a capire come gestire le forti ansie presenti in questi bambini, la cui energia è tutta concentrata ad evitare un temuto “nuovo” abbandono. Questo, nei primi tempi, impedisce ed ostacola l’attenzione verso l’apprendimento di una nuova lingua e di tante nuove nozioni scolastiche. Il contesto desta ansie e preoccupazioni, ed occorre lavorare su questo, predisponendo un’accoglienza adeguata al bambino, volta a diminuirne le ansie e le paure.
Diminuirne il carico di compiti e nozioni aiuta, come anche farlo sentire a suo agio tra i compagni, affrontandone la storia in maniera normalizzante. Ogni bambino deve sentirsi uguale agli altri, deve avere le stesse possibilità di apprendimento e di successo in ambito scolastico e sociale. Occorre vedere nel nostro caso un bambino adottato, italiano o no, come una risorsa per la classe. E’ un bambino molto forte, con una forte capacità di autonomia, ma “ipervigilante”. Occorrerà quindi lavorare sulla calma, sulla rassicurazione, e non curarsi se ci vorrà del tempo per avere dei stessi risultati soddisfacenti. Perché occorrerà prima colmare quelli che sono stati i tanti piccoli e grandi traumi nella sua vita.
Anche i genitori dovranno fare la loro parte, imparando ad abbassare le aspettative. Un adottato sta sempre all’erta, in modo consapevole o no, che gli succeda di nuovo quella cosa terribile: ritrovarsi di nuovo solo. Questo sottrae energie. Occorrerà quindi per prima cosa colmare queste di ansie, e questo compito sta prima di tutto alla famiglia. La scuola verrà dopo!
E occorrerà sensibilizzare gli insegnanti, ricercare insieme le risorse e capacità intellettuali e caratteriali del bambino, magari di tipo creativo, o sportivo, e far leva sulle sue capacità per costruire su quello la sua autostima, e farne una leva per affrontare poi anche le altre materie curriculari. Ma senza scoraggiarsi se non riuscirà come gli altri bene in matematica (anche Einstein pare non fosse un granché!), o in storia, o in italiano. Ci sono delle materie che a chi, come i bambini adottati, ha uno stress post-traumatico, sono difficili da memorizzare, perché astratte o prive di significato. Ci ha testimoniato un genitore:
“Quando è entrato in seconda elementare, all’inizio andava bene. Ma poi, quando i compagni hanno cominciato con le tabelline e altro, ha sentito la differenza e la difficoltà” [2]

Le aspettative nei loro confronti dovrebbero rimanere ragionevoli e flessibili. Non dobbiamo farli sentire dei “diversi”. Occorre abbassare il livello di ansia per i compiti da fare, a scuola o a casa, perché questo è più importante della loro perfetta realizzazione. Talvolta, presi nel turbine del “problema scuola”, anche i genitori si dimenticano che il valore del loro bambino non va misurato in base alle sue prestazioni scolastiche. Devono ricordarsi e far presente anche al personale docente, che non è facile misurarsi con saperi e regole nuove, e portare a termine tutti quei compiti assegnati, soprattutto nel caso di bambini, come quelli adottati, con un pesante vissuto esperienziale.

Le strade per raggiungere il successo scolastico sono tante, ma tutte passano prima di tutto dalla sensibilizzazione degli insegnanti, da una formazione aggiornata (e sappiamo quanto sia difficile e complessa oggi questa opera) e continua. Una formazione rivolta non solo a contenuti didattici o pedagogici, ma anche psicologici, volta a far comprendere le speciali tematiche che ogni bambino adottato si porta nel suo bagaglio. Occorre che la scuola non lo faccia mai sentire un “diverso”, né per la sua storia, il suo paese, il colore della sua pelle, o eventuali sue difficoltà di apprendimento. Lui non avrà un albero genealogico semplice come quello degli altri, né una storia lineare, né foto o indumenti da appendere al cartellone insieme a quelle degli altri compagni, che ne ricordino la nascita.
Lui ha una storia diversa da raccontare che, quando si sentirà in condizioni di farlo, e se lo vorrà fare, lascerà tutti a bocca aperta. Come ha fatto Maddalena, un giorno, in classe:
“Quando a scuola si è parlato dell’aborto, come una buona soluzione per una gravidanza indesiderata, mia figlia si è opposta sostenendo  che è bello vivere grazie ad una madre che ha portato a termine la sua gravidanza, anche se non aveva la possibilità di prendersi cura del figlio, cure che un bambino può ricevere da una famiglia grazie all’adozione.” [3]

Sta agli insegnanti, con la collaborazione delle direzioni scolastiche, rendere la scuola e la classe quel luogo dove tutti, e non solo i bambini adottati, possano stare insieme, in modo piacevole e senza sentirsi mai diversi né a disagio. Dove si possano imparare tante e belle cose nuove, in maniera divertente e non stressante. Ed ognuno lo possa fare con i suoi tempi, quelli che sono giusti per lui. Dove ogni giorno si scoprono cose nuove con curiosità e passione, e si possano condividere storie ed esperienze. Senza paure né ansie.

Un sogno?

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[1] Anna Genni Miliotti “… e Nikolaj va a scuola. Adozione e successo scolastico” Franco Angeli Editore, pag.25.
 
[2] Ibidem, pag. 47
 
[3] Ibidem, pag. 100

 

Anna Genni Miliotti