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Istituti: N.N. Figli di nessuno

Il settimanale 'PANORAMA' ha pubblicato un pungente articolo il giorno 4-10-2002 che mette a nudo la qualità del 'servizio' svolto dagli Istituti italiani. In discussione è la mancata riconversione degli istituti in case-famiglia e la ancora carente struttura nazionale rivolta alla coltivazione delle pratiche di affido.

Estratto dal sito Arnoldo Mondadori Editore


N.N./Figli di nessuno

Decine di migliaia di bambini sono abbandonati negli istituti senza la speranza di trovare una nuova famiglia. Perché la legge non funziona e le adozioni restano un miraggio.

di Stella Pende

La stanza sembra quella dei giochi di figli qualunque: cavallino a dondolo col naso consumato, pioggia di palloni arcobaleno, il castello di Harry Potter compreso di cielo e fulmini. I bambini mi fanno domande curiose. Non sembrano abbandonati, né infelici. Non sembra che un padre o uno zio gli abbiano portato via per sempre la purezza e la pace dei sogni. «Mi regali la tua borsa?» chiede Sonia. «Quando torni?» insiste Claudio. D'improvviso, dietro il muro, uno strano e lungo lamento, come di un piccolo leone prigioniero. I bambini non ci badano. Sonia fa i capricci, si tira i capelli arruffati e vuole «un gelatino». La signora che pensa a lei e agli altri sparisce in cucina per accontentarla.
Ancora quel mugolio roco. Forte, fortissimo. Ancora bambini che giocano come se niente fosse. Come se quella cantilena terribile fosse l'unica colonna sonora di quella casa. Allora approfitto dell'assenza della signora e apro quella porta.
E vedo Carlo: ha capelli castani, una tuta di jeans e un braccio molto più corto dell'altro. Avrà 7 anni: dondola avanti e indietro come una scimmia carcerata dentro un letto con la ringhiera. Gli parlo, lo accarezzo. Inutile: l'unica risposta è quel lamento sordo. È il rumore del dolore che gli ha lacerato il cuore e il cervello: Carlo è stato abbandonato dai suoi genitori un anno fa perché il suo handicap «era diventato ingestibile».
Ma quando è arrivato piangeva e parlava. Oggi dondola soltanto. E ulula. Ci saranno da qualche parte un padre e una madre veri anche per lui? Forse sì, ma anche se ci fossero oggi sarebbe molto difficile fargli sapere che Carlo esiste, che li cerca. Perché Carlo sta in un istituto del Sud, dove molti orfanotrofi non sono neppure censiti, né conosciuti. Perché Carlo è un numero, un'ombra zoppa persa dentro la stanza ghiacciata di una casa senza madre.

Adozione: quanto abbiamo abusato di questa parola negli ultimi anni. Adozione santa, adozione giustiziera, adozione giusta o ingiusta, adozione tradita.
Ma l'adozione nel Duemila, istituzione santa sulla carta, è oggi più che mai dentro le sabbie mobili. Nella nebbia, nell'incertezza, nel caos. Forse nella vergogna. Una notizia per tutte? Al momento non esiste in Italia una banca dati che permetta di dare informazioni e vita ai bambini che negli orfanotrofi aspettano di ritornare figli.
E poi non esistono vere anagrafi regionali (a parte rari casi), niente archivi, scarse e povere indagini che valutino la vera condizione della famiglia.
Molti errori, dati gonfiati o sgonfiati. Sicuramente intermittenti, dunque inattendibili. Istituti non censiti, sconosciuti, desaparecidos. E una bomba: finalmente la legge 149 del 2001 aveva chiesto di chiudere gli istituti entro il 2006 per dare agli orfani famiglie affidatarie. Era l'approdo, era la speranza per migliaia di bambini condannati alla solitudine forzata.

Forse non lo sarà, perché 54 senatori chiedono oggi che quegli orfanotrofi rimangano aperti «per dare» parole esatte «agli istituti di assistenza pubblici e privati la possibilità di continuare nell'opera educativa intrapresa». Dunque orfanotrofio uguale famiglia. Dunque figli di nessuno all'infinito. Questo è l'obiettivo e l'ideale di tanto progetto. Ma non basta.
Parliamo di numeri. I dati più «freschi» risalgono a due indagini. La prima, del '98, firmata dall'Istituto degli Innocenti di Firenze-Centro nazionale (ministero del Welfare), dava 14.949 minori (di cui 1.174 portatori di handicap) ricoverati in 1.802 strutture. Soltanto un anno dopo però, secondo l'Istat, gli stessi figli senza famiglia erano diventati 28.148. Dato ufficiale ancora oggi (vedere riquadri a pagina 132). Dov'è la verità? A chi dare credito? La tentazione sarebbe rispondere: a nessuno. Inutile girarci intorno: oggi in Italia non si può sapere veramente quanti bambini sono ospitati, ingoiati, nascosti negli istituti.
Una verità non proprio contestata dagli autori delle suddette inchieste: «Niente da dire, la nostra indagine aveva grandi limiti. Ma chi può muoversi esattamente dentro una situazione così magmatica?»: Lucia Nencioni, responsabile della comunicazione dell'Istituto degli Innocenti, almeno è sincera. Di più. «Diciamolo una buona volta, l'Italia ha negli istituti turnover infiniti: strutture che cambiano nome e non si trovano più, altre che vengono usate prima di essere censite, altre ancora che spariscono.
Dall'altra parte l'informatizzazione del tribunale dei minori sembra fatta con la penna d'oca». Da restare senza parole. Ma Lucia non ha ancora finito. «Ah, dimenticavo: le regioni non hanno minimamente il polso della situazione».
Ci sarebbe il raro caso della Regione Piemonte che ha lanciato da poco un'idea e un progetto: «Tutti i minori hanno diritto a una famiglia». Potrebbe essere, ma non è, l'esempio per creare le anagrafi regionali per monitorare i bambini chiusi in istituto. Del resto molto di quello che riguarda l'adozione è fatto di «potrebbe».
Ne sa qualcosa il bambino Carlo N., che arriva due anni fa in un istituto della Campania. La madre è morta, il padre non può occuparsene. «Ma niente adozione: lui è sangue del mio sangue» dice il papà, rispettando un copione molto recitato in questi casi dai genitori, che poi spariscono regolarmente per anni. Carlo si ammala, diventa anoressico: non vuole mangiare, solo com'è.
Il padre viene avvertito: «Niente adozione» ribadisce. Carlo ha 4 anni, pesa 8 chili, può morire da un momento all'altro. Forse è già morto.
Chi ha indagato sulla famiglia di questo piccolo disperato? Chi ha cercato di capire se non esistevano le condizioni per dargli una mano, per trovargli un nuovo padre o una madre? Forse nessuno. Quanti figli soli come Carlo rimangono piccoli fantasmi dimenticati dentro i castelli cattivi dell'adozione? Certo intorno agli istituti e alle adozioni non è tutto nero.
Ci sono anche angeli: suore, suorine, operatori sociali, giudici, assistenti, volontari, che lottano per i bambini da sempre. Ma che oggi sono indiavolati.
«È davvero una vergogna. Non si può credere. Parliamo anche dei bambini che vengono abbandonati in strutture fantasma per la seconda volta dopo adozioni fallite. Lo sa che i ripudiati dell'adozione sono almeno 100 all'anno? E quando i genitori adottivi vogliono sbarazzarsene finiscono in collegi, istituti privati e altro.
Nessuno impedisce oggi di dare tuo figlio a un convitto o qualcos'altro di simile pagando una retta. Ma nello stesso tempo chi sorveglia la sorte dei figli dopo l'adozione?». Marco Griffini, anima e motore dell'Aibi (Associazione italiana amici dei bambini), è veramente furioso.
Nessuno più di lui sa toccare i peccati dell'adozione nazionale. «Oggi, con la legge 149 che ha allungato il termine d'età degli adottanti, ci capitano spesso coppie di cinquant'anni che adotterebbero un bambino grande, forse anche handicappato.
Ma se loro abitano a Como e il bambino è a Bolzano, come farli incontrare senza banca dati?». La signora Daniela Intravaglia, responsabile per il ministero di Grazia e giustizia del progetto di informatizzazione dell'apparato della giustizia minorile, arriva da un congresso e parte per Perugia, ma dice di non doversi difendere da niente.
Perché sta lavorando proprio sodo. «Del resto si è cominciato a parlare di informatizzazione negli apparati istituzionali non più tardi di dieci anni fa». Ecco dieci anni. Perché i bambini abbandonati per ultimi? «Ma chi lo dice? Abbiamo già informatizzato ben sei tribunali dei minori, mancano ancora Firenze, Sassari e Ancona. Il progetto è stato del resto un grande investimento per il governo».
Si rende conto, signora, che senza banca dati molti bambini rimangono irrintracciabili, eterni abbandonati? Intravaglia diventa evasiva. «Di questo, mi dispiace, è meglio che lei parli con la mia superiore». Un'ultima informazione: quando sarà pronta la banca dati? «Tra un anno, forse».
Quanti bambini come Carlo potranno o dovranno aspettare un anno? «Troppi» risponde Frida Tomizzo, combattente indomabile dell'Anfaa (Associazione delle famiglie affidatarie italiane). «La nostra è una situazione così assurda da diventare surreale.
Ma se dopo le indagini dovute e non concesse si decidesse che un bimbo non può essere adottato, rimarrebbe sempre l'affido. Uno dei valori della 149 era, appunto, la riconversione degli istituti in case-famiglia.
Attenzione, però: è inutile che si faccia finta di riconvertire gli orfanotrofi e poi ritroviamo nello stesso stabile 5 case-famiglia con 40 bambini.
Inutile affidare i piccoli a chiunque passi per strada che ha bisogno di lavorare. Ci vuole personale idoneo e non più di 8 bambini in una casa dove siano presenti un papà e una mamma di riferimento veri».
Basta scendere nel Sud d'Italia per capire quanto Frida ha ragione. Un esempio per tutti: la Calabria, una regione con più di un record nero. «Le riconversioni? Recite. Alcuni ci provano, certo, altri fanno finta. La verità è che le nostre rette negli istituti sono le più basse d'Italia: 10 euro a bambino. Nemmeno il pane, signora. Ma chi riconverte adesso avrà sui 20 euro. E tutto è spiegato»: Simona Mordà, volontaria e operatrice sociale, non ha più voglia di stare zitta.
«E poi sui bambini senza famiglia la regione è cieca. Anche il volontariato. Si aiutano i vecchi, si creano parchi giochi per i figli che ne hanno già e quando si chiede aiuto per gli istituti la risposta è sempre la stessa: non è il nostro mestiere».
Nel Sud, dall'Ottocento gli orfanotrofi e gli orfani sono stati consegnati nelle mani spesso generose di piccole donne della Chiesa. Che si prodigano, che vivono per questo. Ma spesso ci muoiono anche dentro. Suor Silvia, di una piccola comunità di Reggio, parla con un filo di voce. Di bambini adottabili lei oggi ne ha solo quattro. Si capisce che sono come i suoi figli.
«È difficile. Li abbandonano e poi se li dimenticano. Noi abbiamo una 'bambina' che oggi ha 19 anni. Non ha mai trovato una nuova famiglia, speriamo che trovi un bravo ragazzo che le restituisca l'amore che non ha mai avuto». Non riesco a capire se la bambina di 19 anni di cui parla suor Silvia ha un handicap, se è stata rifiutata. Sento solo che questa suora ha avuto una figlia vera. Che può essere per tutti i suoi bambini una madre coraggiosa.
Come Giulia Basano. «Volevo adottare un bambino. Aprirgli le porte della vita. Poi in quell'istituto ho visto Nicola. Aveva 4 anni, era affondato dentro il suo mondo di disperazione. I medici dicevano di tutto: prepsicosi, autismo, cerebroleso. Ho capito che ce la dovevo fare.
L'ho visto affiorare fin dal primo giorno dalla morte. Ho seguito il suo risveglio. Ho capito che era salvo quando ha cominciato a chiamarmi Giulia. Per lui mamma era un nome che l'aveva troppo tradito. È stato come vederlo nascere di nuovo».
Oggi Nicola ha trent'anni. Ha un lavoro, una vita e un amore. La sua storia e l'amore di sua madre stanno dentro un libro intitolato Nicola, un'adozione coraggiosa. Ma se Nicola non avesse incontrato una mamma come Giulia? Sarebbe rimasto di certo dentro quegli educativi istituti che oggi questi 54 senatori vogliono ancora aperti contro la legge 149. Da dove arrivano la cecità, l'assurdità, la sfrontatezza di questo provvedimento che vuole figli di nessuno all'infinito? Come si può paragonare la famiglia affidataria a un orfanotrofio? Come si può parlare di educazione senza parlare di amore?

Livia Pomodoro, presidente del Tribunale dei minori, vede una terza via e lascia capire una speranza: «È che quando si parla di istituti si allude ai vecchi brefotrofi lager. Sono quelli che devono sparire o almeno migliorare. Auspico vere case-famiglie, come quelle di don Mario Inzoli, dove una madre possa andare a trovare il figlio senza vivere tensioni con la madre affidataria. Dove un bambino possa sperare ancora di ricongiungersi alla sua famiglia».

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             Aggiornato il 13-08-2015